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01.12.2016
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SE IL PREZZO NON CORRISPONDE AL VALORE…

Chiunque approcci al nostro comparto, vive l’inconciliabile contrapposizione tra la categoria di “valore” e il concetto di “prezzo”. Assumendo la carica di Presidente di questa Unione, ho sempre avuto l’ambizione di riuscire a svincolare il nostro comparto dalle questioni relative ai prezzi, per allacciare più propriamente un rapporto tra la produzione e il valore che essa esprime o, ancora meglio,  quello percepito dal cliente.

Senza citare necessariamente Adam Smith, il padre degli studi sull’economia di mercato, la nostra categoria, più di altre,  ha il dovere di chiedere che sia riconosciuto il valore di quello che c’è oltre il prodotto.  Il valore ambientale, paesaggistico, di riduzione di rischio idrogeologico, di caratterizzazione storico-culturale di un agrumeto siciliano o calabrese, ha quale contraltare il prezzo compresso e globalizzato dell’arancia o del mandarino. Di fronte a un valore sociale, ambientale  e culturale c’è un prezzo che non soddisfa chi produce e che drammaticamente rimanda a sfruttamento, disaggregazione, inefficienza…

Purtroppo la crisi economica ha determinato una competizione sfrenata sul prezzo tralasciando e dimenticando l’importanza del valore. La qualità, che rimane la nostra direttrice principale, è stata la prima ad essere messa in discussione, ma accanto ad essa abbiamo registrato la caduta libera dei redditi dei nostri produttori.

E’ facile immaginare che una competizione basata esclusivamente sul prezzo ci vede decisamente perdenti e che tutti dobbiamo concorrere a mettere al centro del villaggio il VALORE del prodotto. Per questo dobbiamo liberarci dal peso di pensare che sia sempre colpa degli altri, ma poter immaginare che il valore percepito dal cliente possa essere influenzato dal contributo che i produttori e le loro Organizzazioni danno quotidianamente all’ambiente, all’economia, alla socialità, alla trasparenza, all’eticità. Siamo produttori di clementine, di pomodori, di nocciole e nello stesso tempo siamo tra i principali produttori di beni pubblici, ovvero quei beni, servizi e altri fattori di interesse per la società che non possono essere forniti attraverso il mercato, ossia attraverso la normale interazione di domanda e offerta.  Parliamo di costruire paesaggio, di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici, di occuparsi di risparmio idrico e, attraverso le produzioni di rafforzare identità, rendendo attrattive aree e luoghi altrimenti marginalizzati.

Sono sicuro che sarebbe un elenco molto lungo ma sono altrettanto sicuro che scontiamo un difetto di comunicazione  che impedisce al nostro cliente/consumatore di valutare correttamente il valore vero del prodotto nel suo complesso e l’insieme dei benefici connessi. C’è chi afferma che questa auspicata alleanza tra produttore e consumatore c’è già nei fatti, confermata da indicatori quali il consolidamento di produzioni biologiche, la preferenza per prodotti ad indicazione geografica (IGP, DOP…), ma in realtà manca ancora una comunicazione più accorta e meno concentrata sull’autoreferenzialità della propria insegna da parte della moderna distribuzione - anello di collegamento ortofrutticoltore e consumatore – che ad oggi ancora fa percepire ai consumatori l’intera ortofrutta come una commodity indistinta.

Nel mese di giugno in occasione di Think Fresh a Firenze, con il mondo della GDO non si parlava d’altro che di storytelling e questo sottolinea quanto sia necessario per l’intera filiera uscire fuori dalle dinamiche perniciose  del prezzo. Purtroppo però ricadiamo sempre negli stessi comportamenti, troppo svincolati da una visione strategica di più ampio respiro che fa del prezzo l’elemento trainante. E lì ci andiamo scontrare con il pericolo che a volte 10 centesimi per chilo di prodotto, segnano la differenza per  un reddito accettabile o tra legalità e illegalità.

Dobbiamo trovare la voce per denunciare che alcuni prodotti sotto certi prezzi non possono essere venduti e non si può più far finta di non vedere e di non sapere. Chiediamo il sostegno delle Istituzioni e degli operatori per lanciare un nuovo corso che faccia del valore autentico del prodotto il proprio punto di riferimento, mettendo a fattore comune queste diverse consapevolezze, costruendo un patto – che chiami la Pubblica Amministrazione alla funzione di arbitro conciliatore – tra produttori, distributori e consumatori affinché il valore di una produzione che, più di ogni altra coinvolge salute, ambiente, storia, innovazione e paesaggio, non venga cancellata dal mercato per il persistere di un colpevole fraintendimento tra “valore” e “prezzo”.

Siamo disposti a collaborare con tutti, ma per favore qualcuno si ricordi, una volta per tutte,  che il primo comportamento etico sta nel riconoscere il giusto valore ai prodotti della nostra terra!