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18.12.2016
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CREA: IL PRODOTTO DI STAGIONE - IL CARCIOFO: ESIGENZE E PROSPETTIVE DI RICERCA

Nel 2013, la superficie investita a carciofo ammontava a ca 131.000 ha a livello mondiale e a 72.000 ha in Europa. L’Italia era la prima produttrice mondiale con circa 47.000 ha (FAOSTAT, 2015). Il carciofo, infatti, è uno dei prodotti più rappresentativi della cultura gastronomica italiana (AA.VV. 2009). Negli ultimi anni, però, a causa della scarsa remuneratività della coltura, si è assistito a una progressiva riduzione delle superfici nel nostro Paese (Trotta et al., 2015). Per il suo rilancio sono necessari interventi di ricerca per la caratterizzazione e l’innovazione varietale, lo sviluppo dell’attività vivaistica e di tecniche colturali per l’abbassamento dei costi, la valorizzazione del prodotto per l’alimentazione e per altri usi.

Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus) è una pianta erbacea perenne e rizomatosa di origine mediterranea. La parte commerciale è costituita dall’infiorescenza o capolino, che è formata da un peduncolo e da un ricettacolo carnoso nella cui parte esterna sono inserite delle grosse squame, mentre all’interno sono inseriti i fiori detti “flosculi”. Sono conosciute molte varietà locali con pregevoli caratteristiche qualitative, appartenenti a quattro gruppi: Spinosi, Violetti, Romaneschi, Catanesi (AA.VV. 2009).

La raccolta deve essere effettuata prima che le brattee dei capolini incomincino ad allargarsi. Per le varietà rifiorenti (precoci) inizia in autunno e prosegue fino in primavera, mentre per le varietà non rifiorenti (tardive) inizia a fine inverno e prosegue fino a tarda primavera. Il numero di capolini raccolti varia dai 4-5 fino a 15 per pianta, risultando più produttive le varietà rifiorenti. La destinazione del prodotto è prevalentemente per il mercato fresco, soprattutto per i capolini “cimaroli” o “mamme” e per quelli di II e III ordine, che mostrano maggiori dimensioni e pregevoli caratteristiche organolettiche, mentre i capolini di piccole dimensioni (carciofini) vengono destinati alla trasformazione industriale. 

Ultimamente, si sta diffondendo l’utilizzo come prodotto di IV gamma e di V gamma. Gli estratti hanno applicazione in farmacopea e/o nella preparazione di liquori. Anche i sottoprodotti possono essere utilizzati per l’estrazione di sostanze naturali o entrare a far parte di mangimi per l’alimentazione animale, mentre dagli acheni si può estrarre olio ad uso alimentare privo di acido erucico. I capolini in piena fioritura possono essere impiegati per le composizioni floreali. Infine, negli ultimi anni la biomassa residua della lavorazione è stata utilizzata per usi energetici.

Il carciofo viene generalmente propagato per via agamica, ma a causa della ripetuta riproduzione vegetativa e della natura poliennale della specie si manifestano problemi di stanchezza del terreno e fitosanitari, per accumulo di virus e altri patogeni. Inoltre, le varietà locali spesso presentano casi di omonimia e sinonimia e, in alcuni casi, una non soddisfacente uniformità e identità delle accessioni. La micropropagazione mediante coltura in vitro di apici meristematici consente di ottenere carciofaie omogenee e il risanamento di cloni virosati, ma risulta onerosa e non applicabile in alcuni genotipi (AA.VV. 2009). La disponibilità di materiale genetico autoctono di qualità non è sufficiente per garantire la competitività del carciofo rispetto a colture alternative, sebbene le varietà locali possono giocare un ruolo significativo in areali specifici e mercati di nicchia o essere utilizzate per la produzione di ibridi con maggiore adattamento alle condizioni climatiche e colturali degli areali nazionali, nonché più rispondenti alle preferenze dei consumatori italiani (AA.VV. 2009).

Negli ultimi anni, lo sviluppo della riproduzione per seme ha rivoluzionato sia la coltivazione sia il lavoro di miglioramento genetico, riducendo molti dei problemi sanitari e determinando minori costi per l’impianto e la coltivazione. La possibilità di realizzare cicli annuali favorisce la rotazione delle colture, riduce la stanchezza dei terreni e incide positivamente sulla qualità e sulla quantità delle produzioni. Infine, negli ibridi F1 si può sfruttare il fenomeno del vigore ibrido e combinare caratteri diversi, introducendo geni di resistenza a stress e altri, con effetti positivi sull’innovazione varietale, l’ampliamento degli areali di produzione e dei periodi di raccolta, e la diversificazione delle utilizzazioni. La sequenza del genoma e le altre risorse molecolari recentemente acquisite per il carciofo costituiscono uno strumento prezioso per il lavoro di miglioramento genetico in questa specie (Cardi 2016).

Per l’utilizzazione su larga scala degli ibridi F1, bisogna, però, acquisire maggiori conoscenze di base sulla biologia riproduttiva della specie e sviluppare tecniche agronomiche innovative per la coltivazione degli ibridi e la riduzione dei costi, e nuove tecniche vivaistiche basate su maggiori conoscenze per la produzione del seme di carciofo, nonché sull’applicazione dell’innesto erbaceo su cardo, il seed priming, l’inoculazione con micorrize (AA.VV. 2009).


CREA, Centro di ricerca per l’orticoltura di  Pontecagnano Faiano (SA): Francesco Raimo, Teodoro Cardi

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AA.VV. (2009) - Il carciofo e il cardo. Bayer Crop Science. Ed. Script, Bologna.
Cardi (2016) - Nuovi orizzonti per il carciofo dalla ricerca sul genoma. L’Informatore Agrario, 14/2016: 78-79
FAOSTAT (2015) – URL: http://faostat3.fao.org/home/E
Trotta N., Rofrano G., Pepe R., Cardi T. (2015) - Il carciofo in Italia: importanza e prospettive della propagazione via seme. Acta Italus Hortus, 16: 3-9.